Il CAST invia le osservazioni in opposizione al Piano Attività Estrattive
Il CAST (Comitato Appennino Salute Territorio) invia al Comune di Loiano, Città Metropolitana e Regione Emilia Romagna le osservazioni in opposizione al Piano cave approvato a dicembre dall'amministrazione loianese.
Contro il Piano sono già schierati cittadini, associazioni e Comitati spontanei.
Di seguito quanto inviato dal CAST:
OSSERVAZIONI ED OPPOSIZIONI alla delibera n. 95 del 18/12/14 di adozione alla Variante Generale 2014 al P.A.E. del Comune di Loiano
Nel comune di Loiano con delibera n. 95 del 18/12/14 è stata adottata la Variante Generale 2014 al P.A.E. Comunale, che prevede, in sintesi: 2 cave, una a Cà dei Boschi e l'altra a Campuzzano di 22 ettari, dei quali 9-10 di bosco, con scavi da 15a 25 metri di profondità, per estrarre in totale 2.000.000 (2 milioni) di metri cubi di inerti su un totale di 4 milioni previsti dall’intero piano della provincia; 80.000 camion per il trasporto; 16.000 alberi abbattuti in 10, 15, 20 anni di lavori. In data 29.12.2014 lo scrivente comitato ha scritto al sindaco e per conoscenza, tra gli altri, ad Alberto Rocca, assessore competente, la missiva che si allega sub 1) con le mail di risposta, non confacenti e non soddisfacenti. Il Comune poteva e doveva opporsi –sia nel 2012 sia ora- per ragioni di tutela del territorio: “la partecipazione dei Comuni al procedimento pianificatorio delle attività estrattive” infatti “non può ridursi alla mera facoltà collaborativa di presentare proprie osservazioni (alla stregua delle osservazioni che possono essere formulate dai privati nel procedimento di formazione di uno strumento urbanistico)..” (s. Cons. Stato Sez. VI, 18/09/2013, n. 4646) e l’ente comunale e i suoi amministratori – sia del 2012 sia attuali- sono patrimonialmente responsabili dei danni che ne deriveranno.
La decisione è deleteria ed avversa alla qualità dell’aria, alla salute, all’ambiente, al paesaggio, al turismo, allo svago, per dire solo di alcuni degli interessi costituzionalmente tutelati, salvo altri. In tale contesto, l’interesse pubblico di tutela del luogo si deve considerare di gran lunga prevalente rispetto a quello della costituzione di una cava delle dimensioni e con l’ubicazione così come approvata dal Comune di Loiano, il quale a nostro avviso solo modificando la delibera di approvazione e rivedendone il contenuto, alla luce delle considerazioni di seguito esposte o di altre valutazioni autonome, eserciterà correttamente la sua discrezionalità amministrativa.
Si evidenzia infatti:
1) La silice cristallina è cancerogena (danno alla salute individuabile e risarcibile). Sollevarne e spargerne le particelle in misura abnorme e per molto tempo significa inquinare una vasta area e compromettere la salute degli abitanti, dei turisti, di chi transita. L’area ove sono previste le cave sono vicinissime ad abitazioni, poderi, aziende agricole. Superfluo dire della salute e della tutela della proprietà; quanto all’agricoltura, la normativa e la politica sulla sua valorizzazione appaiono prive di contenuto se contraddette, anche qui, da determinazioni pubbliche di segno opposto. Il dato è inconfutabile e la prova scientifica che l'esposizione porta alla silicosi e quindi al mesotelioma polmonare si trova nelle Linee guida nell’esposizione professionale a silice libera cristallina della regione toscana.
2) Contraddizione con le finalità e delle disposizioni del piano sistema forestale e boschivo. Il P.t.p.r. (piano territoriale paesaggistico regionale) in vigore prevede sub art. 10, a proposito del sistema forestale e boschivo, che “sono sottoposti alle disposizioni di cui al presente articolo i terreni coperti da vegetazione forestale o boschiva, arborea di origine naturale e/o artificiale, in qualsiasi stadio di sviluppo … ed in ogni caso i terreni corrispondenti alle voci: :
a. formazioni boschive del piano basale o submontano; b. formazioni di conifere adulte; c. rimboschimenti recenti; d. castagneti da frutto; e. formazioni boschive con dominanza del faggio; f. boschi misti governati a ceduo, della legenda delle tavole contrassegnate dal numero 2 del presente Piano. .. 3. Gli strumenti di pianificazione conferiscono al sistema forestale e boschivo finalità prioritarie di tutela naturalistica, paesaggistica e di protezione idrogeologica, oltre che di ricerca scientifica, di riequilibrio climatico, di funzione turistico-ricreativa e produttiva. Tali strumenti dovranno definire direttive e normative, differenziate in funzione delle diverse formazioni boschive di cui al comma uno, atte ad impedire forme di utilizzazione che possano alterare l’equilibrio delle specie autoctone esistenti. Inoltre gli strumenti di pianificazione possono prevedere l’aumento delle aree forestali e boschive, anche per accrescere l’assorbimento della CO2 al fine di rispettare gli obiettivi regionali e provinciali in attuazione degli obiettivi di Kyoto. …”. Appesentirebbe eccessivamente la presente riportare il testo completo, ma lo stralcio di cui sopra è sufficiente per attestare gli intenti del piano; il seguito disciplina la perimetrazione e i piani provinciali, Tali perimetrazioni, “che fanno fede dell'esatta delimitazione dei terreni aventi le caratteristiche di cui al primo comma ai fini dell'applicazione delle disposizioni di cui al presente articolo” e che “sono periodicamente aggiornate con le modalità sopra indicate assicurandone la pubblica visione a cura delle Province e delle Comunità Montane” dovrebbero tener conto della zona boschiva di cui trattasi, coinvolta nel piano cave che qui si contesta. Si tenga poi in debito conto che “la Regione provvede all'aggiornamento delle Prescrizioni di massima e di polizia forestale, ai sensi dell'articolo 13 della legge regionale 4 settembre 1981, n. 30, tenendo in particolare considerazione la necessità di migliorare le modalità di utilizzazione dei boschi cedui e d'alto fusto, anche al fine di assicurare una più efficace protezione del suolo nelle pendici scoscese ed instabili.”
3) La zona confina con il Parco del contrafforte pliocenico e quindi l’attività estrattiva dovrebbe essere vietata in quanto la zona sarebbe suscettibile di tutela assoluta, in quanto da considerare Pre-Parco o comunque in una delle categorie protette in toto. Sul relativo sito web curato dalla Città metropolitana sotto la voce “Riserva Naturale Contrafforte Pliocenico” si legge che “la Riserva, istituita nel 2006, è di gran lunga la più ampia della regione. Tutela il maestoso fronte roccioso che si sviluppa per una quindicina di chilometri trasversalmente alle valli di Reno, Setta, Savena, Zena e Idice, culminando negli scenografici rilievi dei monti Adone (654 m), Rocca di Badolo e Rosso, e poco oltre il confine dell'area protetta termina nel panoramico Monte delle Formiche (638 m), su cui sorge il santuario di Santa Maria di Zena. Le dorate arenarie delle spettacolari pareti rocciose si sono sedimentate sul fondo di un piccolo golfo marino durante il Pliocene (5-2 milioni di anni fa) e conservano importanti testimonianze fossili. Le particolari morfologie modellate dall'erosione, con torrioni, rupi, gole e grotticelle, hanno dato origine ad ambienti diversificati e contrastanti, di grande interesse floristico e faunistico per la presenza, sulle pareti assolate, di piante mediterranee e di una rara avifauna, mentre nei versanti settentrionali, meno scoscesi e rivestiti dai boschi, spiccano faggi, agrifogli e altre specie tipiche dei territori montani. Nel corso dei secoli, e soprattutto a causa dei bombardamenti dell'ultima guerra, sono andati pressoché del tutto perduti i castelli, i borghi e le chiese di epoca medievale, anche se nel territorio rimangono episodi interessanti come le singolari abitazioni di Livergnano, in parte scavate nella parete di arenaria.” Orbene, la volontà di mantenere ed anzi valorizzare questo “grande interesse floristico e faunistico” e questa “rara avifauna” sarebbe vanificata dall’opposta volontà di creare enormi cave a fianco: la contraddizione è di intuitiva evidenza.
La qualità dell’aria di questa parte di Appennino risulta la migliore della provincia: in una scala da 0 a 100la zona al 5 febbraio 2015 figura 8, mentre bologna è 56 (http://www.arpa. emr.it/v2_aria.asp). Non crediamo, o almeno ci auguriamo, che quando la Provincia di Bologna avviò il “Piano di gestione della qualità dell'aria” (PGQA), al cui interno –a detta della stessa provincia- riveste un ruolo fondamentale la stesura del Piano di Gestione della Qualita' dell'Aria (Risanamento, Azione, Mantenimento) agendo sugli ambiti che hanno come effetto ''secondario'' la generazione di emissioni inquinanti, intendesse semplicemente spostare il problema dall’area urbana a quella appenninica.
4) Trattasi di area franosa. Arpa (Annuario dei dati ambientali 2010) dichiara che “il medio Appennino emiliano presenta gli indici di franosità più alti…La maggior parte dei fenomeni franosi che interessano i versanti appenninici sono, inoltre, riattivazioni di frane già esistenti e ciò consente, attraverso una buona conoscenza della localizzazione dei corpi di frana, di individuare le aree dove si ha una maggiore probabilità che i fenomeni di instabilità si possano ripetere anche espandendosi alle aree immediatamente limitrofe… La dinamica insediativa e antropica sull’Appennino emiliano-romagnolo degli ultimi decenni ha infatti accresciuto il rischio da frana. I limiti alla trasformazione dell’uso del suolo determinati dalle condizioni del dissesto sono stati spesso ignorati o sottostimati, in particolare prima dell’entrata in vigore del Piano territoriale paesistico regionale del 1993 e dell’istituzione delle Autorità di bacino negli anni 90, a causa di esigenze produttive e sociali contingenti con la conseguenza di avere realizzati insediamenti in siti pericolosi. A ciò si aggiungono i problemi di dissesto idrogeologico e di erosione del suolo determinati da una non corretta gestione del suolo nelle aree agricole collinari-montane, che si sta manifestando nella progressiva scomparsa del reticolo idraulico-agrario.” Segue l’indicazione grafica dell’indice di franosità, con evidenziato tra i più alti quello del comune di Loiano.
Per tutti, indichiamo a mo’ di esempio le frane dell’ottobre 2002 e del marzo 2005 (30.000 metri cubi) proprio in quella zona, che bloccarono la strada nelle Gole di Scascoli per lungo tempo e comportarono costi e lavori di non poco conto e il rischio della vita di chi nella strada di fondovalle ci transitava. In uno studio del 2008 si legge: “tale frana, benché antica e complessivamente quiescente, fa registrare spostamenti dell’ordine di 1÷2 cm/anno in prossimità dell’unghia… L’insieme di queste deformazioni è stato attribuito alla messa in posto di una grande e complessa frana per scivolamento, nota come “grande frana di Scascoli” (Landuzzi A. & Bernagozzi G., 1996).”
5) Nessun ripristino del territorio sarà possibile, se non –forse- di arbusti e poco altro, che potrà servire per gettare fumo negli occhi per qualche tempo ma non certo per valorizzare la zona, con contrasto evidente col resto dell’Appennino, che reca alberi ad alto fusto sia aghiformi che a foglia larga. Ciò, non per poco tempo, ma PER SEMPRE, poiché lo strato necessario ai semi volanti di attecchire sarà asportato, impedendo la ricrescita naturale. Basti guardare la situazione lasciata dalle cave precedenti, che hanno ripristinato come hanno potuto, su un terreno ormai privo del necessario humus. Andando in profondità 15, 20, 25 metri si toglieranno non solo le piante, non solo la terra, ma anche un immenso strato di materiale, lasciando uno spazio verticale nudo ed una base povera di tutti i componenti chimici del terreno, in stridente contrasto con le zone confinanti di bosco.
6) Il piano della provincia prevede 4 milioni di metri cubi di inerti, dei quali il 50% rimessi alle cave loianesi, con evidente sproporzione tra i territori.
7) Tutela delle falde. Si sostiene che la scelta è utile a tutelare le falde di pianura, ma così il problema si sposta nella zona appenninica impoverendo i giacimenti alluvionali di montagna, come già avvenuto con i cantieri per l’alta velocità, che ha seccato un numero considerevole di sorgenti e deviato corsi d’acqua. Ciò vanifica la tutela dell’agricoltura locale, che di quelle falde ha bisogno.
8) Assenza di qualsivoglia iniziativa atta al coinvolgimento della cittadinanza, degli operatori del settore turistico, agricolo, castagnicoltore, vivaistico, nonchè degli utenti generalmente intesi ed interessati.
9) Gestione. Si lascia l’iniziativa dei tempi e modi ai cavatori, senza alcuna limitazione, condizione o controllo.
10) La scelta contraddice le normative a tutti i livelli (dalla Costituzione ai regolamenti comunali passando per li legislazioni europea, nazionale e regionale) che tendono a tutelare –ma evidentemente solo a parole- la salute, l’ambiente, le attività agricole, faunistiche, turistiche e commerciali ed evitare il consumo del territorio. La scelta contraddice le politiche ai vari livelli di valorizzazione e incentivazione delle attività delle aree depresse appenniniche. La scelta contraddice quelle passate sulle cave, dato che esiste un precedente: altro progetto per la limitrofa loc. Farnè fu abbandonato qualche anno fa perché non idoneo, distante poche centinaia di metri dai siti di cui trattasi derivante da motivi analoghi a quelli descritti fin qui. Non tenerne conto comporterebbe il vizio di eccesso di potere per contraddittorietà tra provvedimenti, vizio ravvisabile anche sotto i profili della ragionevolezza e della proporzionalità nel contesto del governo del territorio.
11) Si ricorda anche, che nella stessa area del Comune di Monghidoro doveva essere costruita una Strada Comunale di collegamento fra Monghidoro e la S.P. del Fondovalle Savena, il cui progetto fu bocciato proprio perché troppo impattante sotto il profilo ambientale e che Terna aveva progettato un tracciato di elettrodotto che poi, in base al principio di consumo del territorio, fu modificato e spostato.
12) Il ricavato a favore del Comune, calcolato per circa € 8.000 mensili –esiguo rispetto, ad esempio, ai € 2000 giornalieri spesi per i rifiuti- è annullato dalle spese occorrenti per il controllo che il comune stesso dovrà svolgere sulle cave. L’operazione è, pertanto, anche antieconomica.
13) Non esistono garanzie che i siti vengano in futuro sistemati e le spese per l’attività surrogatoria che il Comune sarà obbligato ad intraprendere saranno abnormi, difficilmente recuperabili anche con azioni giudiziarie nei confronti degli amministratori, comunque doverose.
14) Nel documento “Contributo alla Conferenza di Pianificazione del Piano Infraregionale delle Attività Estrattive della provincia di Bologna PIAE 2013-2023”, sottoscritto da LEGAMBIENTE, ITALIA NOSTRA e WWF in data 11/12/2012 –tenuto in alcun conto- dette associazioni avevano evidenziato che il contributo delle Associazioni Ambientaliste “si presentava come l’occasione per ripensare alle modalità di sfruttamento del suolo”, ed hanno recentemente e pubblicamente dichiarato come detta occasione sia sfuggita, rispondendo il progetto di Ca de’ Boschi a logiche di “privatizzazione degli utili e socializzazione del danno ambientale e paesaggistico”;
15) Residui delle cave precedenti. Nel suddetto documento si ricordava che alla fine del decennio precedente al 2001 il residuo aveva raggiunto il 58% e suggeriva ”... di ridurre il fabbisogno presunto rispetto al precedente decennio basandolo non più su previsioni di sviluppo poco affidabili in questo periodo, ma sulla media dei quantitativi estratti dell’ultimo decennio al netto del residuo non ancora scavato”, nel contempo fornendo i dati contenuti nel PIAE 2013: Prov. Bo. (quadro conoscitivo, Tabella 4.4-4 pag.64): residuo reale al 2011 (mc) di Campuzzano 1.367.295, di Cà dei Boschi 363.769. I quantitativi richiesti sarebbero quindi praticamente già raggiunti con lo sfruttamento di cave già esistenti.
16) Nel documento delle Associazioni Ambientaliste “si riteneva dunque che anziché rischiare un ulteriore sovrastima del fabbisogno, contraria al principio di sostenibilità e di riduzione del consumo di suolo, sarebbe preferibile limitare l’attuale stima di fabbisogno all’ammontare dei soli residui, quindi senza aperture di nuove cave, e prevedere invece una verifica di metà mandato.. Questo eviterebbe anche di offrire al mercato inerti, pregiati e non, che magari verrebbero destinati all’esportazione fuori provincia o regione, anche a causa dei bassi oneri estrattivi regionali applicati”.
17) Sempre dal documento in oggetto testualmente: “perseverare la spinta verso la riduzione dell’utilizzo di risorse non rinnovabili, aumentando il recupero del materiale da demolizione; questo progetto non pare rispondere a questo principio!”
18) In termini di tutele, nel pieno senso letterale della parola, nel documento di cui sopra alla voce “tutele assolute” si enunciava che: “le mutate condizioni economiche, lo sviluppo di un diverso modello di crescita e l’esigenza di tutelare i beni comuni divenuta prioritaria, a nostro parere hanno creato le condizioni affinchè alcuni vincoli condizionati vengano promossi a vincoli assoluti, ovvero tutele ambientali che non permettano l’attività estrattiva”
19) Il passaggio continuo dei camion alzerà le polveri sottili in strade molto frequentate da automobilisti, ciclisti e motociclisti (la strada è frequentatissima anche da stranieri), golfisti (sul Savena c’è un campo da golf), cavallerizzi (frequenti le passeggiate a cavallo); danneggerà il manto stradale (a chi spetta il ripristino?); alzerà il tasso di benzene e altri gas nocivi.
20) L’attività estrattiva libererà anidride carbonica e gas imprigionati nel terreno e sottrarrà l’ossigeno sinora prodotto dalle piante che saranno svèlte. La Regione vanta un rimboschimento tra i più alti d’Italia, forse seconda solo al Trentino, ma in questa occasione non si tiene conto che i 9 ettari di bosco sottratto non si rinnoverà, andandosi ad aggiungere alla fine del ciclo vitale che la pineta di Loiano sta raggiungendo.
21) Impianto di lavorazione. La Val.S.A.T. del P.I.A.E. 2013 -Valutazione di sostenibilità ambientale e territoriale- relativa alla Cava "Campuzzano" e lo Studio di Bilancio Ambientale (S.B.A.), individuano "Campuzzano" come l'intervento estrattivo di inerti pregiati per uso edile e stradale con il miglior rapporto fra efficacia economica ed impatto ambientale, e risulta seconda assoluta con il 86,19% di efficienza rispetto alla teorica attività estrattiva "migliore" del modello di valutazione. Quest'ottimo risultato è ovviamente in buona parte dovuto al fatto che la proposta riguarda l'incremento della dotazione volumetrica in polo estrattivo già in attività da molti anni, senza ampliamento della superficie pianificata. Nella graduatoria finale tale posizione peggiora molto, fino a portare l'intervento al terz'ultimo posto nella graduatoria ("Tabella punteggi inerti pregiati", pg. 20) a causa dell'impatto potenziale sulla viabilità, sulle tutele territoriali e sul S.I.C. "Contrafforte Pliocenico". Per il primo aspetto la V.G. P.A.E. 2014 conferma la
prescrizione in vigore fin dalla V.G. P.A.E. 2004 inerente il non rilascio di autorizzazioni per ulteriori volumetrie oltre a quelle fin d'allora autorizzate se non a fronte del puntuale riscontro dell'avvenuto cambio di destinazione geografica dei materiali inerti, che dovranno essere conferiti ad un più vicino impi9anto di lavorazione di quello in utilizzo fino ad un paio di anni addietro, quello di San Martino in Pedriolo (Comune di Casal Fiumanese, nella media valle del T. Sillaro), e che attualmente è in corso di dismissione, non essendo però ancora noto l'impianto di nuova destinazione.
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Per le ragioni sopradescritte non sono accettabili le affermazioni del Comune di Loiano in persona del suo assessore all’ambiente il quale ha dichiarato “Riguardo all’ampliamento della cava di Ca’ dei Boschi, mi pare che qualcuno voglia far credere ciò che non è. Mi chiedo come mai non sia saltato fuori il problema due anni fa, perché è nella delibera n° 86 del 2012 che viene dato parere favorevole alla Provincia, che sta redigendo il proprio PIAE (Piano Infraregionale delle Attività Estrattive) per l'eventuale ampliamento della cava di Ca’ dei Boschi; oppure poco dopo, quando il Piano provinciale viene prima adottato e pubblicato, e poi approvato con il parere favorevole della Regione, dell'ARPA, della Soprintendenza al Paesaggio (competente per i boschi assieme alla Regione), dell'Autorità di Bacino del Fiume Reno (competente per le frane), e con nessuna sostanziale opposizione a questa cava da parte delle Associazioni ambientaliste. Possibile che ci sia stata una colossale svista collettiva?
Io credo invece che, dato che sono state esaminate una cinquantina di proposte di nuove attività estrattive, l'ampliamento di quella di Loiano sia stato deciso, sia perché gli impatti ambientali previsti sono minori di quelli causati da tante altre ("minori", ovviamente, non significa che non ce ne siano), sia perché il nostro Comune ha dato nel corso degli ultimi tre decenni buona prova di sé nella gestione del più ampio distretto estrattivo della provincia (ed uno dei più grossi della regione), ottenendo buoni risultati in termini di riassetto ambientale. In quanto al parere favorevole del Comune in sede di pianificazione provinciale, non bisogna dimenticare come le attività estrattive forniscano un introito non trascurabile alle casse del Comune attraverso gli oneri di legge (56 centesimi per metro cubo estratto: negli anni significano poco meno di un milione di Euro) e che alla fine degli interventi verrà adeguata e ceduta al Comune l'attuale pista di cava per bypassare il tratto franoso di via delle Croci, che ben difficilmente si potrà recuperare, se non a fronte di interventi di consolidamento proibitivi in termini economici. L'adozione del PAE in Consiglio Comunale non è che uno degli ultimi atti amministrativi di un percorso condiviso a livello istituzionale e, almeno finora, anche di opinione pubblica. Bisogna altresì tener conto che l'Approvazione in Consiglio avverrà dopo aver nuovamente richiesto ed ottenuto il parere di tutti gli Enti di cui sopra (che approfondiranno le loro valutazioni) e che successivamente dovrà essere svolta la VIA (Valutazione d'Impatto Ambientale) sul progetto esecutivo, per stabilire tutti i dettagli di monitoraggio e di mitigazione degli effetti della cava. A ciò seguirà infine la fase di autorizzazione vera e propria, che riguarderà solo i primi 5 anni di attività, nel corso dei quali si avrà modo di controllare il rispetto di tutte le prescrizioni e l'avanzamento contestuale dei lavori di sistemazione, presupposti indispensabili per poter ottenere le autorizzazioni successive.
PER TUTTO QUESTO, IL FATTO CHE EMERGA ORA, PIÙ O MENO A METÀ DEL PERCORSO, UNA POLEMICA SU QUESTA OPERAZIONE, FA PENSARE AD UNA STRUMENTALIZZAZIONE DEMAGOGICA.
Quindi proviamo a riepilogare: la Provincia, con il parere favorevole del Comune, pianifica un ampliamento di più di 20 ettari dell'esistente cava Ca' dei Boschi, nella valle del Savena, per la produzione nei successivi 10 anni (ma più probabilmente, data la crisi, 15 o anche 20 anni) di 1.656.000 metri cubi di ghiaie per usi edili e stradali. Nell'area di cava sono compresi 9 ettari di bosco ceduo (ma nessuna formazione forestale protetta) e sono presenti alcune piccole manifestazioni di dissesto (ma nessuna frana attiva): gli Enti preposti hanno considerato accettabili queste condizioni, la prima perché si tratta di un impatto reversibile tramite gli interventi (obbligatori per legge) di riforestazione (con ampliamento complessivo della superficie boschiva), con in più la mitigazione introdotta dal nostro PAE di disboscare e ripiantumare piccoli lotti di 2-4 ettari per anno o biennio; la seconda perché tutte le zone instabili o dubbie dovranno essere monitorate e/o bonificate prima di qualsiasi altro intervento produttivo in cava (come prescritto dal "Provvedimento di perimetrazione zonazione della pericolosità e del rischio da frana" adottato dal Consiglio subito prima del PAE ed in esso riportate) e nel contempo il progetto dovrà garantire la stabilità dei fronti di scavo anche in condizione di elevata sismicità (com'è obbligatorio per legge), attraverso l'esecuzione di pendenze ed altezze di scavo calcolate come sicure. Su questo e su tutte le prescrizioni fornite, il Comune eserciterà il controllo che ha sempre esercitato (visite mensili in cava, monitoraggi ambientali, verifiche topografiche di precisione, ecc.) che hanno portato ai buoni risultati di recupero fin qui ottenuti. Vorrei anche ricordare che la trasmissione Report, con la Gabanelli, mandò in onda una puntata sulle cave (il 3/04/2011 reperibile su internet: RAI 3 "La banda del buco") in cui, tra le varie situazioni scandalose e illegali in giro per la penisola, quella ai piedi dell’Appennino (più precisamente la nostra, assieme a Pianoro) è risultata una delle uniche in regola a livello legale e a livello ambientale. Tanto che nella cava Le Fosse (poco sotto a quella in discussione e MOLTO PIU AMPIA) sono terminati i lavori di riassetto ed è diventato un luogo molto bello con potenzialità turistiche notevoli: pista ciclabile, lago, parco e cascina dove è difficile scorgere il segno dei lavori svolti. Speriamo dal prossimo anno di iniziare a sfruttarlo.
Concludendo: l'abbattimento di una porzione dei boschi, peraltro molto diffusi in zona, per approvvigionare il fabbisogno provinciale di inerti, non è una cosa che faccia piacere e che si autorizzi a cuor leggero: è "un male necessario" ma soprattutto, ripeto, REVERSIBILE: certo, in tempi medio-lunghi, ma credo sia questo il senso di un termine molto usato (e talvolta abusato): lo "SVILUPPO SOSTENIBILE". Non si può nemmeno non tenere presente che, a meno di non costruire le nostre case in legno (e allora sì che avremmo un impatto grave sui boschi) e le nostre strade in riciclato (che non basta neppure per un decimo del fabbisogno), il materiale che si estrae dalle cave lo utilizziamo tutti, consapevolmente o meno.
Che ci si voglia credere oppure no (o forse dovrei dire "che piaccia o meno"), è un fatto riscontrabile sul campo che le attività estrattive sono governabili e sono governate al meglio possibile da decenni, almeno in questa regione, almeno in questa provincia, DI SICURO NEL NOSTRO COMUNE.
Per dare una misura ai 9 ettari di bosco in questione, ogni anno solamente per la legna delle stufe, caminetti e caldaie di Loiano si abbattono circa 40 ettari che si rigenerano nel giro di 10/15/20 anni, a seconda del tipo di alberi, come è sempre accaduto”.
Il sindaco precedente all’attuale, nel 2012, aveva ipotizzato di limitare la portata delle nuove cave. L’attuale sindaco, tempo addietro (prima di essere eletta), aveva manifestato il suo dissenso sottoscrivendo un documento contrario alle cave, e nel programma elettorale ha dichiarato che “la qualità dell’aria e dell’ambiente sono una risorsa fondamentale del nostro territorio; abbiamo borgate ed ambienti naturali di una bellezza unica: tutto questo deve essere sfruttato maggiormente. Dobbiamo tutelare la qualità dell’acqua e dell’aria, agevolare la riqualificazione delle borgate e la diffusione della conoscenza del paese, assieme alle scuole ed alle associazioni, promuovendo iniziative turistiche e culturali e organizzando visite guidate”.
Le cave attualmente esistenti sono in esaurimento; moltiplicarne il numero può forse salvaguardare le ditte titolari delle autorizzazioni valorizzandone le potenzialità e quindi il valore ai fini di una eventuale cessione; ma certo questo non può essere -in ipotesi- un parametro utile a scelte che coinvolgono una intera comunità. Le amministrazioni coinvolte per quanto di competenza avranno tempo ed occasione, nelle successive fasi della procedura del piano e del rilascio autorizzativo, di meglio valutare la situazione anche alla luce delle nostre considerazioni, che ci pregiamo sottoporre loro.
In tale contesto, l’interesse pubblico di tutela del luogo di cui trattasi devesi considerare di gran lunga prevalente rispetto a quello della costituzione di una cava delle dimensioni e con l’ubicazione così come approvata dal Comune di Loiano, che potrà e dovrà rivederne il contenuto della delibera di approvazione e, alla luce delle considerazioni sopraesposte.
In attesa di riscontro ed auspicando il completo ripensamento della vicenda in ragione di una maggior valutazione degli interessi pubblici in gioco invio distinti saluti.
Il legale rappresentante
Cesare Albini
Commenti
Ottimo
Il fatto più grave a mio parere è il non aver avvisato la cittadinanza sulle decisioni che avrebbero preso di lì a poco. Ma chi siamo noi, solo buoni a pagare le tasse??? tutto quello che verrà, dissesto idro-geologico, impoverimento del territorio e delle proprietà, inquinamento, traffico, ecc. è solo una conseguenza di questa decisione presa a favore delle lobby dei cavatori. E non vorrei pensare male ma, visto il voltafaccia del Sindaco sulle questioni ambientalistiche mi sa che non ci si sbaglia !!!
Per quanto riguarda la promessa riforestazione e sistemazione basta andare a vedere come hanno sistemato le zone di ex-cava: un paesaggio brullo con cespugli e dove prima c'erano querce e castagni sono nate delle spontanee robinie. L'acqua non regimata scava nel terreno dando luogo a future frane. Come pensano di riforestare, dopo che avranno scavato a 20 metri di profondità? con che materiali ritomberanno?!? Chi controllerà e sopratutto chi pagherà tali controlli ???
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