Ristrutturazione Ospedale, "non basta dire: abbiamo evitato il peggio"
Riceviamo e pubblichiamo
Dopo avere partecipato in extremis all’incontro di mercoledì 6 dicembre al Cinema Vittoria sul futuro del nostro Ospedale, essendo io una delle tante persone che da Loiano si spostano per andare al lavoro, mi permetto di scrivere questa breve nota per esprimere le mie opinioni su questa vicenda e sull’andamento dell’Assemblea.
Nella visione che avete prospettato, ci sono alcuni dati di fatto ed alcuni apriori che mi sento di volere contestare.
Il primo di questi apriori è che l’invecchiamento della popolazione, soprattutto nel nostro appennino, sia un fenomeno irreversibile e/o inevitabile, come se fosse impossibile ribaltare, o quantomeno controllare, questo fenomeno.
Questa lettura viene supportata da importanti dati statistici, che sono molto utili a fotografare la realtà dei fatti, ma che come tutti sanno si prestano ad interpretazioni, e possono essere di supporto a scelte politiche anche radicalmente diverse.
La scelta di rafforzare la componente “osco” (anzi, scusate, le “cure intermedie” perché ci avete giurato e spergiurato che di osco non si è mai parlato – forse si tratta di una allucinazione collettiva - ) è una scelta che rafforza questa tendenza adagiandosi dentro di essa come un ghiro nella sua tana. Intendiamoci, la realtà è questa: ma non vedo la scelta complementare, “anticiclica”, ovvero il supporto che dovrebbe e deve essere dato a una prospettiva di rinascita di queste terre. Ovvero, come facciamo a rendere attrattivo il nostro Appennino, in modo da fermarne lo spopolamento che è principalmente migrazione di nuove generazioni che se ne vanno alla ricerca di lavoro ma soprattutto di servizi?
Certo, non è facile: implica scelte radicali, controcorrente, che purtroppo nessuno ha il coraggio di fare.
Ci tornerò. Il secondo di questi apriori è la riduzione della spesa.
La “spending review” significa, in molti casi, la riduzione netta delle prestazioni erogate dalla Sanità pubblica, riduzione compensata a costo di enormi sacrifici dalle persone che nella sanità pubblica lavorano e cercano di mantenere inalterati i livelli di assistenza esistenti.
Non sto parlando della riduzione delle sacche di spreco e di privilegio, che è un impegno lodevole e sacrosanto: parlo della riduzione o della scomparsa di servizi essenziali.
Servizi che vengono spesso sostituiti da un’iniziativa privata pronta ad insinuarsi nei bisogni lasciati disattesi dal pubblico per fare profitto rendendo la sanità un bene privato, alla faccia del tanto sbandierato “diritto alla salute”.
Ma quello che mi fa incazzare, scusate il termine, è che questa dismissione ci viene dipinta come innovazione. Non c’è niente di innovativo nel vedere scomparire i consultori. E non c’è niente di innovativo sull’adagiarsi sopra l’invecchiamento per fornire servizi qualitativamente inferiori, mentre nella sanità ci sarebbe veramente tanto da innovare e rinnovare. Ci sono invece delle scelte, ben precise, fatte dai Governi che hanno scelto dove tagliare e come, o sono stati costretti, se preferite, a partire da circostanze da essi stessi create.
Anche qui nulla di nuovo. Non è nuovo nemmeno chi paga il prezzo della crisi.
Allora, in questo stato di emergenza finanziaria permanente, come riusciamo a costruire un modello di economia che riesca insieme a ridurre i costi e a migliorare la qualità dei servizi e non limitarla, per tutti e per tutte e non solo per pochi? Vi consegno queste due domande.
Come vedete sono correlate: e naturalmente interpellano anche un livello superiore della sola Azienda Sanitaria o del solo Comune di Loiano. Ma se non ci mettiamo a pensare in grande non usciremo mai da questa crisi infinita, e se ne usciremo sarà solo per ritrovarci più poveri, più soli e pure meno liberi.
Oppure pensiamo che non ci sia una connessione tra un ospedale lasciato a se stesso e le linee elettriche dell’ENEL condannate a cadere da un misto di incuria (anche qui derivante da una “ottimizzazione”) e spopolamento della montagna?
Io sono preoccupato. Le misure che vedo in attuazione vanno verso un assecondamento dell’andazzo attuale, anzi: ne accettano aprioristicamente e quasi ideologicamente i presupposti e rischiano quindi di incoraggiare un peggioramento della situazione.
Le statistiche fanno predizioni che si autoavverano se non si prendono di petto. Per questo mi sento di chiedere contemporaneamente alla componente “tecnica” e “politica” presenti a quella assemblea: quali misure pensate possano o debbano essere adottate per imprimere una spinta “anticiclica”, che vada contro la passiva accettazione di una tendenza in atto, al nostro territorio? Sapendo, certo, che non basta agire su un solo fronte ma su molti, mettendo in campo fantasia e determinazione e soprattutto che non basta agire in maniera settoriale?
Perché la politica non serve solo a fare tagli, serve anche a immaginare, a coordinare, ad unire ciò che appare slegato in un quadro di insieme e su questa base di conoscenza gestire si, ma anche aprire vertenze, fare proposte. E mi sembra che su questo terreno potreste, potremmo, fare molto, molto ma molto meglio di così.
Non basta dire “abbiamo evitato il peggio”. Il peggio, signori miei, se non ci diamo e non vi date una svegliata, deve ancora venire.
Minni Sergio
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